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Comunità marocchina in Italia : lettera per la Rai

al-italiya.net Ha recivuto e condiviso una lettera da indirizzare alla Rai. Se condividete la linea siete invitati anche voi a firmarla nome e cognome sotto l'articolo. Grazie Karima Moual Eccola di seguito: Qualche giorno fa ha fatto il giro su Facebook una notizia pubblicata da uno dei principali quotidiani italiani, il Corriere della Sera, dove si riprendevano le foto della regina Salma durante la cerimonia del suo matrimonio con il Re del Marocco Mohamed VI. Lalla Salma, che è il simbolo anche della politica sulle donne del Regno, è la prima moglie della monarchia alawita ad essere apparsa in pubblico e senza velo. Il matrimonio di Mohamed VI ripreso con le telecamere e trasmesso a reti unificate, con al centro la bellezza della chioma rossa di Salma, è stato un chiaro messaggio non solo ai cittadini marocchini, ma anche al mondo musulmano.
Nessuno aveva mai visto la madre di Mohammad VI, neanche durante le nozze. Ora, invece, non solo si è rotto il tabù sulle donne nel Regno, ma con il coinvolgimento politico della nuova regina e le riforme avviate in seguito, il re ha fatto capire chiaramente che nel suo Paese le donne sono tutt'altro che dietro le quinte. Fatto questo excursus storico, torniamo all'articolo del Corriere e del perché ha fatto il giro dei social network con non poca indignazione. È nella cultura marocchina che la sposa indossi numerosi vestiti tradizionali durante la cerimonia. Uno di questi è contraddistinto da un velo integrale che ne copre il volto. Un solo scatto di questo vestito indossato da Lalla Salma con il suo sposo è bastato per scrivere nella didascalia della foto del Corriere: “la regina indossava il velo tradizionale che oggi non indossa più”.
Con questa frase si è cancellata non solo la storia del Marocco, ma si sono date informazioni fuorvianti ai lettori su un tema non di secondo piano, quello delle donne nei Paesi musulmani. A questo punto ci si chiede: perché dobbiamo meritarci una informazione così mediocre? Perché in una società multietnica come la nostra, i suoi intellettuali e le seconde generazione, che occupano anche ruoli di primo piano, non sono altrettanto protagonisti anche nella comunicazione? Un mondo dei media che ci illumini su scenari a noi sconosciuti. Un'informazione che sia di prima mano e non per sentito dire.
Viviamo in una società complessa che non può più essere interpretata con le chiavi di lettura del passato, ma necessita di una molteplicità di visioni e traduzioni, perché gli spazi si sono allargati. E questo avviene soprattutto nell'area del sud Mediterraneo, solo per fare qualche esempio, che ci è più vicina di quanto possiamo immaginare con i suoi problemi e le sue bellezze. Le sue guerre e la generosità della sua gente. Una parte di essa è ben integrata del nostro Paese, con un bagaglio culturale che noi teniamo congelato, forse per mancanza di visione e coraggio. Qualche mese fa abbiamo pubblicato un appello per i lettori italiani firmato da professori e intellettuali musulmani e non, cercando di descrivere il contesto che viviamo e chiedendo maggior attenzione nell'informazione, per far sì che vengano il più possibile coinvolte personalità che abbiano maggior conoscenza dei temi che riguardano il mondo islamico e le questioni migratorie.
Oggi arriva la risposta della Rai con la presentazione del palinsesto nel quale si preannuncia un programma, in seconda serata, che tratterà di Islam e che verrà condotto da Gad Lerner. Di certo bisogna fare i complimenti a Daria Bignardi per aver avuto il coraggio di aprire un nuovo capitolo per la tv italiana, e per aver scelto un collega bravo come Lerner, al quale vanno i nostri auguri, viste le sue riconosciute competenze e la sua professionalità. Ma la domanda che ci poniamo è: quale messaggio si vuole dare, relegando un programma su "Islam", che è già vago di suo come titolo, in seconda serata quando del tema, e in tutte le salse, viene discusso in malo modo? Al di là delle capacità di Lerner: c’è la possibilità di fare una tv di Stato “differente”? Non era meglio coinvolgere e affiancare al conduttore qualche figura rappresentativa del cambiamento che stiamo vivendo, quella di una generazione di giornalisti di origine straniera? Magari uno per puntata? Non era meglio fare una scelta che fosse più coraggiosa e realista per dare spazio e voce a chi non conosciamo ancora, ma ci ostiniamo a raccontare facendo gaffe come quella del Corriere della Sera che scambia un velo di una cerimonia per una scelta di vita di una regina, figuriamoci una persona qualunque?
Non era meglio, forse, proporre una trasmissione che non si concentrasse solo sull’islam, ma che approfondisse quanto accade nel sud del Mediterraneo? Insomma, la nostra non è l’ennesima dimostranza di giornalisti che si lamentano di come altri giornalisti raccontano il mondo che ci circonda. Noi vorremmo una tv pubblica aperta alla complessità degli scenari che abbiamo di fronte, fuori dagli schemi e dagli stereotipi che purtroppo siamo costretti a vedere quotidianamente sui media italiani, concentrati più sullo “scontro” e alle tifoserie contrapposte. È davvero deprimente assistere un'informazione, soprattutto televisiva, che fatica a raccontare la realtà per scelta e provincialismo. Incapace di vedere la risorsa che ha intorno per sfruttala al meglio e, infine, dare al proprio pubblico un'informazione approfondita e interessante. Una miopia solo nostra che altri Paesi hanno superato da un pezzo battendoci anche sugli spettatori. Basta accendere France24 e accorgersi della molteplicità di volti, di professionisti originari da più parti del mondo. Volti, storie, professionalità e bagagli culturali al servizio del telespettatore che la notizia non vuole più che solo venga raccontata ma anche analizzata approfondita e vissuta. Da noi, invece si preferisce ancora usare Google translate. Preferibilmente in seconda serata.